Il mio ricordo di Mario Fratesi

di Massimo Taborri, comitato scientifico Fondazione Cesare Pozzo per la mutualità

Vorrei unire il mio ricordo dell’amico Mario Fratesi a quelli di Stefano Maggi, Federico Di Palo e Luciano Giorgetti, apparsi sul numero di febbraio della rivista Il Treno. Ho avuto modo di conoscere Mario alla fine degli anni ’90, nell’occasione in cui la Società Nazionale di Mutuo Soccorso si propose di promuovere una campagna di audio-interviste tra anziani dirigenti del movimento sindacale dei ferrovieri, numerosi dei quali erano stati convinti ed attivi “mutualisti”, incaricando a tale scopo una serie di studiosi, tra cui Mario e me.

L’obbiettivo della campagna era e fu quello di pubblicare un libro scritto a più mani, che ripercorresse – anche grazie a tali interviste -  la storia del ruolo del sindacato in ferrovia, dal fascismo alla costituzione delle federazioni dei trasporti (1922 – 1980). Da quel momento, prima di essere entrambi coinvolti nel comitato scientifico della Fondazione Cesare Pozzo per la Mutualità, ebbi poi modo di rincontrare Mario Fratesi in varie altre circostanze: un paio di volte, ad esempio, presso la sede dell’Archivio Centrale di Stato di Roma, quando - senza nessun appuntamento preventivo – capitava di trovarci mentre entrambi cercavamo documenti e carte, da cui Mario avrebbe tratto le sue numerose pubblicazioni. Di idee profondamente democratiche ed antifasciste, avevamo accarezzato l’idea di provare a fare una ricerca sul ruolo della Resistenza dei ferrovieri italiani, in chiave oggettiva ed antiretorica, con l’ipotesi di farne poi una pubblicazione che purtroppo ancora non è stata scritta.

Come è stato detto Mario era una persona schiva e riservata, persino timida, ma di grande intelligenza e serietà, come spesso capita soltanto alle persone schive e riservate. Mario era stato dirigente sindacale, sindaco di Camerata Picena, presso Ancona, suo paese natale, presidente regionale della Mutua. Nella sua versatile attività - si capiva fin dal primo approccio – non aveva mai pensato di poter fare a meno di precisi principi etici ispiratori. Egli non riteneva affatto che l’attività politica o amministrativa potesse essere slegata da valori di rettitudine e sobrietà. Anzi, forse era stato proprio il lento declino dell’etica pubblica - a cui assistiamo in questo paese da qualche decennio, salvo le dovute e opportune eccezioni - a contribuire a spingerlo progressivamente verso la sua attività di storico e di studioso.

Una volta, sette o otto anni fa, fui ospite con mia moglie a Camerata Picena della gentile famiglia Costarelli. Amici comuni. Gianfranco Costarelli (anche lui, purtroppo, prematuramente e tristemente deceduto qualche anno fa) era amico di Mario fin dall’infanzia, ed era lui a fare la correzione di bozze dei libri che Mario decideva di pubblicare. A cena tutti insieme si parlò del più e del meno, in allegria e spensieratezza. Il giorno successivo Mario si offrì di farci da guida in un bel giro della città di Ancona di cui conosceva ogni angolo. Non era facile stare appresso alla sua falcata, ma avemmo modo, anche in quella circostanza, di apprezzare la sua cortesia e la sua competenza storica territoriale. Continuammo poi ad incontrarci a Milano, alle riunioni del comitato scientifico della Fondazione, per progettare una serie di iniziative volte a promuovere la cultura della mutualità e la conoscenza storica del ruolo delle ferrovie e dei ferrovieri, e sempre ho apprezzato il suo stile e la sua correttezza. E’ bene che il Consiglio d’amministrazione della società nazionale di mutuo soccorso abbia deciso di intitolare una borsa di studio alla sua memoria.